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ZERO.40 | intervista a VESPERTINA

Zero.40 è la nuova rubrica del Il silenzio del cantautore.

I conversatori si siedono in un angolo, all’interno del Korova milk bar, il tempo di bere una birra media: 0.40 cl.

Un piccolo viaggio fatto di parole per conoscere meglio gli artisti che hanno partecipato a questa rassegna.

Rubrica a cura di Carlo Casaburi.

Vespertina è Lucrezia Peppicelli. È una cantautrice perugina innamorata della musica. Vive lo scrivere canzoni come il prendere medicine. Note e parole sono capaci di curare il dolore vissuto e far rinascere chi le scrive in una posizione più elevata, purificata. In Vespertina convive una parte mistica, incarnata fisicamente in una corona che indossa durante i concerti, e una terrena. Questi due mondi trovano l’equilibrio nella composizione e nei suoi testi sognanti. Glossolalia è il suo primo EP in italiano, al quale spero seguiranno molti altri.

Da dove viene il nome Vespertina?

Vespertina viene dai vespri, che appartengono alla sera…

Non sono una forma di preghiera?

Sì, sono preghiere della sera. Questo perché le canzoni che scrivo sono abbastanza crepuscolari e adatte ad un momento della giornata diciamo… più riflessivo, o un pochino anche più scuro. E poi perché nel mio immaginario c’è una certa figura che rimanda alla cristianità, principalmente alla cristianità dei martiri. E quindi, dato che metto anche una corona in testa, un’aureola, è tutto un po’ collegato a questa idea.

Ma è una specie di caricatura?

Io non sono credente, però mi piace molto l’estetica del martirio e della sofferenza. Che bisogna attraversare del dolore per arrivare ad una certa elevazione.

In cosa differisce Vespertina da Lucrezia Peppicelli?

Diciamo che Lucrezia è una persona molto più alla mano…

Quando sei Vespertina te la tiri?

No, diciamo che entro in un mood più distaccato. Poi le battute le faccio anche quando sono Vespertina, perché sono pur sempre Lucrezia, però cerco di essere più seria, anche in quello che faccio, mentre Lucrezia è più caciarona… è più una da bar.

Vespertina è una cantautrice, una musicista, altro?

Mh… io non mi sento una grandissima musicista, perché ci sono molte persone più brave di me che potrebbero mangiarmi in testa. Io suono quello che mi sento e cerco di esprimermi attraverso questo canale. Che poi lo faccia bene o lo faccia peggio o che io arrivi alle persone oppure no, dipende anche da chi ho di fronte… insomma, io cerco comunque di non classificarmi anche come artista.

Secondo te cosa significa essere musicista?

Dipende. Se prendi la parola musicista forse indica che lo fai per lavoro, è una cosa che ti dicono anche gli altri “che sei un musicista”, o un’artista. Io suono.

Come hai iniziato?

Le prime canzoni ho cominciato a scriverle nel 2013, ma non mi sono esibita fino al 2014. Prima avevo un altro progetto…

In inglese, giusto?

Sì, esatto. Dopo ho scoperto l’italiano come lingua che potevo usare per la mia composizione, e quindi piano piano le canzoni hanno preso corpo, ho deciso di intraprendere questa carriera solista, e ho iniziato a presentarle al pubblico.

Cosa hai provato quando hai composto la tua prima canzone?

Tanto dolore.

Come tanto dolore? È stato un parto difficile?

No, è stato un percorso molto… catartico. Mi serviva per sbrogliare delle cose passate. Molto dolorose. Quindi riproporle, soprattutto le prime volte che le cantavo, era abbastanza doloroso. Però poi sono riuscita a distaccarmi da questo. Il tema principale era una persona del mio passato che mi ha fatto soffrire e io ho cercato di usare la musica come medicina.

Come nasce una canzone?

Per me è una cosa molto naturale. Dipende anche dal periodo. C’è stato un periodo nel quale ho scritto una decina di canzoni tutte di seguito. Adesso, che ho anche altre cose da fare, sto suonando sempre in giro, ho meno tempo per dedicarmi alla composizione. Però, per me, avviene molto naturalmente, senza pensarci. Io inizio tendenzialmente dalla musica e poi mi concentro sul testo, che ritengo un punto molto importante.

Hai suonato con King Dude, il gruppo newyorkese Feathers+Eyes e alla chitarrista canadese Kaki King… cosa ti hanno lasciato queste esperienze e come ti hanno cambiata?

È stato un bel trampolino di lancio e una bella prova. Mi sono avvicinata a persone che fanno questo mestiere da molto più tempo di me, che hanno una certa visibilità, e quindi il loro responso positivo alle mie composizioni è stato molto soddisfacente, e mi ha anche aiutato.

Dal punto di vista emotivo?

All’inizio quando ho suonato con Kaki King nemmeno ci credevo… la stessa cosa con King Dude. È stato molto emozionante e sono stati anche i miei primi concerti. Emozionante e soddisfacente.

Glossolalia è il tuo primo lavoro in italiano. Come è stato il passaggio dall’inglese all’italiano e qual è la storia di questo album?

Sì, questo è stato il mio primo EP in italiano, solo mio. Prima avevo fatto altri due album. In Glossolalia ci sono canzoni maturate nel tempo, registrate nel 2017 ma che esistono già dal 2015. C’è stato un periodo di stasi, mentre cercavo etichette che lo potessero produrre e trovare poi le date per suonare le canzoni. Essendo stata la mia prima prova da sola c’è voluto un po’ di tempo, perché dovevo capire ancora bene come funziona questo mondo underground. Il passaggio all’italiano è venuto da sé. Io scrivevo anche poesie in italiano e ho provato a metterne in musica alcune, prendendo spunto da qualcosa che avevo già scritto, e ho visto che riusciva bene e soprattutto non era banale.  Il problema dell’italiano è che è una lingua bellissima ma può apparire anche banale, dipende da come la usi. Quindi il suo utilizzo può essere banale, non di certo la lingua in sé. Il fatto che sia riuscita in questo passaggio mi ha dato felicità. Dopo mi sono resa conto che riuscivo ad esprimere le mie cose forse meglio che in inglese, e poi c’è un lavoro di scrittura dietro abbastanza complesso, ho bisogno di concentrazione, cambio la metrica delle parole… e quando canto a volte qualcuno non capisce cosa dico, o che canto in italiano. Succede, è successo. Bisogna essere molto attenti per capire le sfumature che uso e che dietro hanno un significato.

Quali sono le emozioni che provi ogni volta che prendi in braccio una chitarra e ti richiudi in un quadrato davanti a delle persone per suonare?

Non posso dire che è sempre come la prima volta, perché ormai mi sono abituata a forza di suonare e ho mitigato l’ansia, che però ancora provo. C’è sempre un’ansia. Mi faccio condizionare molto dall’ambiente e dalle persone. Facendo una cosa intimista ci deve essere un ambiente adatto, ci deve essere sempre un po’ di attenzione e questo genera ansia… ma quando inizio poi tutto va.

È difficile catturare l’attenzione delle persone?

A volte sì, dipende. Devi catturare anche lo sguardo. Per questo io uso questo copricapo un po’ particolare che adesso non ho ma dopo userò. Magari qualcuno si chiede “Che sta facendo questa? Cosa ha in testa?”, però dopo presta attenzione. Penso che se il progetto è interessante, alla fine, anche in un luogo caotico, c’è qualcuno che finisce per ascoltarti con attenzione.

Suonare qualcosa che hai scritto significa mettere, in qualche modo, a nudo la propria persona?

Sì, assolutamente. Soprattutto in italiano. Questo perché mentre in inglese, o almeno qui in Italia, non sempre stai attento alle parole se canti in inglese - l’attenzione cade soprattutto sulla melodia -, con l’italiano invece c’è un impatto diverso. Chi ti ascolta capisce per forza cosa stai dicendo. Quindi, anche se dipende da cosa scrivi, almeno per me, scrivendo cose che appartengono a me, è come mostrare una parte di sé. Ti metti completamente a nudo ed è anche bello. Spesso le persone si rivedono in ciò che racconti e si crea una forte empatia.

Cosa pensi del panorama musicale odierno, soprattutto del panorama underground?

Secondo me attualmente è ricchissimo. Io poi vivendo a Perugia, che è la mia città, sono a contatto con la musica e con ragazzi, anche piccoli che vogliono suonare. Quindi c’è anche un ricambio generazionale, e questo è molto importante. C’è molta varietà, si spazia dal black metal a gruppi molto soft. Abbiamo molte personalità che sarebbero in grado anche di confrontarsi con la realtà europea e io sono molto contenta di essere a contatto con questo mondo e aver modo di conoscere artisti che reputo molto validi.

Cosa hai da dire invece sulla musica come strumento di comunicazione?

È ovviamente un mezzo importantissimo. Avendolo scelto è naturale lo ritenga uno strumento comunicativo fondamentale. Sento che le persone, grazie alla musica, possono anche sollevarsi un attimo dagli smartphone o dagli IPad, da internet… e vivere qualcosa che puoi sentire e toccare…

È una sorta di ricerca, una via di fuga?

Può essere tante cose, dipende da come vuoi viverla. Può essere una fuga, può essere politica, può essere espressione di sé. Dipende dalla forma che tu le dai. Sicuramente la musica è un mezzo comunicativo potentissimo e importante. Senza saremmo molto poveri.

Quali sono i tuoi idoli del passato e quelli del presente?

Un grosso idolo del mio passato è Kurt Cobain, forse senza di lui non avrei mai iniziato a suonare. Con il mio primo gruppo facevamo infatti roba anni ’90, per poi scoprire altre vie successivamente. Poi ci sono anche molti punti di riferimento nel mondo della letteratura o nell’arte in generale. Ora mi vengono in mente due poetesse, Anne Sexton, da cui ho ricavato uno dei miei pezzi, e Sylvia Plath, ad esempio. Le poesie di Anne sono poesie molto carnali e nelle quali mi ci rivedo molto. Infatti, nel mio progetto c’è una parte evangelica che tende ad elevarsi e una parte carnale comunque molto importante.

Come ti vedi nel futuro?

Morta…

No, dai… e un’altra cosa, cosa non vorresti perdere per strada?

No, ok. Spero ancora attiva nel campo musicale. Perché attualmente senza non riuscirei a stare. Scaccia molte cose negative e mi tiene molto impegnata. È una dimensione che mi permette di avere molti contatti con le persone e mi piace molto. Cosa non vorrei perdere per strada sicuramente è la capacità di scrivere belle canzoni.

Lavori "in cantiere"?

Per ora mi sto concentrando molto sul mio tour. Spero di registrare tra un po’ un nuovo EP, ma sono una persona che se la prende comoda, ho bisogno di digerire, di ragionare molto su quello che faccio. Finché non mi piace e sono soddisfatta non mi va di far uscire qualcosa.

Sei un po’ fissata con la perfezione?

Un po’. Poi ho anche accettato l’idea dell’errore e dell’imperfezione, se capita durante un pezzo me la prendo meno. In effetti cerco una purificazione anche nel fatto di accettare che sono umana e posso sbagliare.

Oggi suoni a "Il silenzio del cantautore", è una rassegna di musica totalmente in acustico, senza alcuna amplificazione, al naturale, per ricondurre il cantautore alla sua origine ed autenticità. Una ricerca dell’essenza, sia per chi suona che per chi ascolta. Secondo te in cosa consiste questa essenza, se è importante perché lo è, e soprattutto qual è "l’essenza” di Vespertina?

Il fatto che mi sia spogliata dal gruppo e che mi sia spogliata nel suonare senza effetti esprime secondo me una voglia di mettersi in gioco e mostrarmi per come sono. Quindi, forse questa essenza di cui mi chiedi è un concedersi, un mostrare parti che tieni nascoste e decidi invece di dare. La mia essenza è forse sdoganare il fatto che anche una donna da sola possa raggiungere un obiettivo importante senza aiuto. Spesso sento la frase “sei brava per essere una donna”. Io voglio dimostrare che il punto non è essere uomo o donna ma essere in gamba oppure no. Dare qualcosa.

A cosa brindiamo?

All’avere sempre la testa alta nonostante possa esserci qualcuno che decide di affossarti. A trovare una propria dimensione a cui vuoi arrivare. Alla decisione.

Essenza d'artista - Vespertina

Essenza d'artista, foto di Giacomo Marighelli

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