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ZERO.40 | intervista a NINO SCAFFIDI

Zero.40 è la nuova rubrica del Il silenzio del cantautore.

I conversatori si siedono in un angolo, all’interno del Korova milk bar, il tempo di bere una birra media: 0.40 cl.

Un piccolo viaggio fatto di parole per conoscere meglio gli artisti che hanno partecipato a questa rassegna.

Rubrica a cura di Carlo Casaburi.

Devo dire la verità: riprendere in mano questo portatile, aprire Word, e rimettersi a scrivere mi ha provocato un certo disagio. Questa intervista (e così le due che seguiranno) doveva essere messa nero su bianco molto tempo fa. C’è stato un arresto durante la fine della seconda edizione de Il silenzio del cantautore. Complici sono stati nuovi progetti e scelte varie che mi hanno coinvolto, che mi hanno portato a fare cose diverse e, ovviamente, ha contribuito il mio irrinunciabile motto “Farò domani ciò che non farò oggi, tanto nessuno si farà male”. Insomma… shame on me.

Cerchiamo di recuperare.

Ora riascolto vecchie registrazioni effettuate ad un tavolino del Korova. Mille rumori di fondo. Tintinnio di bicchieri. Qualche risata. Cerco di estrapolare l’oggetto di questa intervista.

Parlo con Nino Scaffidi. Scrittore, musicista da falò, accordatore.

Questa è il suo racconto senza musica, regalatomi in attesa che lui riprenda in mano una chitarra per rifare tutto, ancora una volta, ma in maniera molto più intima.

Buona lettura. 

Descriviti in poche parole, o anche in più se preferisci.

Fermarsi un attimo per dire chi sei è difficile, soprattutto quando sei in continua evoluzione. Ora sono qui per suonare. È una vita che suono. Faccio canzoni mie, belle e meno belle. Alcune meno belle perché hanno avuto meno successo di altre che sono state recepite di più ma per me sono belle tutte perché, per come sono abituato io, nello scrivere canzoni, che faccio da quando sono ragazzino o bambino, ci metto dentro parecchia intimità. È Questo che comporta che io le trovi sempre belle.

Sono siciliano. Ora sono a Bologna da 22 anni. Ho girato parecchio. Ho fatto lo sceneggiatore per diverso tempo durante il quale ho abitato a Roma.

Per la Rai, giusto?

Sì, Rai e Mediaset… e produzioni varie.

Mi sono arenato poi in un progetto, un mio soggetto originale. Mi sono immerso davvero molto in quella cosa per poi capire che quel tipo di sceneggiatura non era quello che cercavo in quel periodo. È stata un’ottima scuola, retribuita, ma non era quello che volevo fare. Poi quando mi sono perso mi sono posto di fronte diversi quesiti e ho cominciato a fare altro, a collaborare con diversi gruppi, a fare ancora la mia musica e le mie canzoni.

Cosa sognavi da ragazzino e cosa sogni oggi?

Da ragazzino sognavo un pavone di fronte alla tabaccheria più vicina a casa mia giù in Sicilia che scappava dietro una curva. Il mio sogno ricorrente era quello. Oggi ho sognato un mio amico che mi faceva vedere una specie di confettura di olive sotto salamoia…

Cosa significa essere e fare il cantautore?

Essere e fare sono cose diverse. Anche la parola cantautore è complicata. Ci sono stati diversi maestri della musica che sono stati definiti cantautori ma che non amavano definirsi, e non si definivano, tali. C’è chi preferisce essere chiamato artista, chi preferisce cantautore a poeta, chi proprio non sopporta la parola cantautore. Comunque… Quale è la differenza tra il fare ed essere un cantautore? Ecco: la risposta può avere varie sfaccettature. Cantautore è chi scrive delle canzoni, canzoni sue, anche attraverso riferimenti musicali e letterari che si vanno a snocciolare in un racconto. Se fai questo, secondo me sei un cantautore. Farlo come lavoro vuol dire, in qualche maniera, inserirsi in un sistema, perché se parli di lavoro parli di mercato, del mercato del cantautorato. Io quello non l’ho mai fatto, non so dirti come si possa fare. Ho una vaga idea e, sinceramente, ancora non mi interessa, o almeno non è una mia priorità.

Quale è la cosa più difficile di essere un musicista?

Eh… io non mi definisco proprio un musicista. Tendenzialmente sono più uno scrittore. Tendenzialmente faccio quello, tutt’ora. Il suonare la chitarra… sì lo faccio, ma come un bambino. Ho studiato la musica ma non vivo di musica. Penso di trasmettere qualcosa quando suono. La musica è fatta di tante cose e credo di essere riuscito a trasmettere qualcosa. Mi definisco un musicista da falò. Ti seguo, suono, mi dici fai questa canzone, io la faccio, si beve assieme e si suona ma… i musicisti quelli veri, “i laureati”, hanno un altro approccio rispetto al mio. Comunque… quale era la domanda?

Ehm… quale è la cosa difficile di essere un musicista.

Accordarsi (ride). Per chi suona gli strumenti a corda è sicuramente l’accordatura. C’era un chitarrista, ora non ricordo chi, che diceva che durante un concerto la metà del tempo la si passa ad accordarsi e l’altra metà del tempo a suonare scordato. E comunque… è quello… creare un’empatia e una soluzione di insieme attraverso la musica. Appunto, accordarsi.

 

Cosa pensi debba essere la musica e cosa pensi che oggi invece la musica sia?

Non sono sicuro di essere in grado di rispondere alla prima domanda. La musica è sempre la stessa cosa... Il grande Om se sei buddista è musica, una vibrazione. La musica crea un’elevazione, è un’elevazione. Poi non so se ti porta al supermercato o a Dio, questo non lo so, non sono nessuno per dirlo. Cosa è la musica oggi è il supermercato. È il mercato.

Come ti approcci al panorama musicale?

Non penso di essere molto bravo, proprio per il fatto di non essere interessante per il mercato. Forse sono un po’ presuntuosetto ma, essendo musicalmente cresciuto, ed avendo forse anche idealizzato un certo tipo di musica, che è quella popolare, e successivamente la musica dei cantautori, quella un po’ più politica, io mi metto un po’ da parte. Ci sono cantautori che hanno piegato il mercato ed altri che sono stati piegati, ovvero sono stati inglobati, dal mercato. Io semplicemente non lo frequento. Frequento magari le persone che lo fanno. Conosco molta gente che ci lavora, molti musicisti, tanti sono stati anche qui a questa rassegna, gente che lo fa come mestiere, che è inserita in quel contesto ma, per quanto riguarda me, io voglio avere la possibilità di prendere e andare via. Non mi ritrovo in quel contesto, il panorama musicale. Non l’ho mai fatto come mestiere. Non so rispondere.

 

Come nasce una tua canzone?

 

Alcune, che hanno avuto un riscontro maggiore, in genere sono nate in poco tempo. Un giro di accordi, un arpeggio, una melodia…improvvisamente azzeccavi l’incipit del testo e, funziona così, la canzone andava avanti da sola. Altre volte mi è successo di starci degli anni. C’è stata una canzone, che si chiama Ambarabaciccicoccò, dove la prima parte é nata subito ma poi mi sono fermato. È passato del tempo, e di botto, dopo anni, è uscita la seconda parte in appena venti minuti.

Quali sono gli ingredienti di una canzone?

Dipende. Ti posso dire come la vedo io. Ci sono canzoni e canzoni. Credo tutto dipenda dal laboratorio dove nasce la canzone. Per laboratorio penso anche al tipo di lavoro che fai. Pensa ad una persona che si piega e raccoglie qualcosa e ha un tipo di cantato legato a questa attività. Pensa ad uno schiavo del cotone o le mondine ed ha un determinato tipo di respiro…

Qui non c’è una ricerca particolare, non viene cercata una parola rispetto ad un’altra o che so io…

Ci sono due strade, una è fare la canzone a tavolino e, come nei film, ci sono determinati tipi di ingredienti a seconda del tipo di canzone che vuoi fare ma, se vuoi far nascere una canzone, e siamo alla seconda strada, allora devi parlare sinceramente di quello che senti. Bisogna che nasca. Non bisogna farla con ingredienti scelti. Certe parole vengono dalle cose che fai. E comunque ci sono bellissime canzoni in giro, anche di quelle che vengono definite commerciali.

Idoli musicali che ti hanno influenzato?

Tanti. Io sono cresciuto ovviamente con De Andrè e De Gregori come cantautori… ma ne ho attraversati parecchi. Questo è un bene, o forse è un male, non lo so. Me li sono fatti tutti.

E musicalmente ero progressivo, quindi gli Area, i Banco del Mutuo Soccorso, PFM…per gli italiani. Già da bambino invece mi sono fatto regalare tutti i dischi dei Beatles.

Per ogni tipo di sentimento di qualcuno, ogni attimo è legato qualcosa, una musica.

Guarda indietro nel tempo, se dovessi scegliere tre momenti importanti, quali sceglieresti e perché?

Un viaggio a Parigi molto bello e molto strano in autostop, momento legato anche alla musica in realtà. Certi momenti giù da me, in Sicilia, di armonia con il mondo. E il terzo… non lo so.

Una collaborazione che ricordi con particolare piacere.

Tutte. Sicuramente mi piacerebbe suonare di più con un mio amico che si chiama Federico Fantuz, che ha suonato anche qui con la Baraldi, perché siamo molto legati. Però mi trovo bene a suonare anche da solo o con altri. La settimana scorsa mi sono visto per suonare con Rossella Graziani, una cantante eccezionale, che inoltre insegna qui a Ferrara, ho suonato con i Giardini di Pietra… e molti altri. Tutte le collaborazioni hanno un significato. In ogni dai e prendi.

Quale è una canzone che senti ti rappresenta?

Che parlano di me tante. Delle mie canzoni Michele.

 

Siamo arrivati alla domanda di rito che facciamo a tutti i partecipanti della rassegna. Questa rassegna cerca di trovare l’essenza del cantautore, lo fa mettendolo il più a nudo possibile. Secondo te quale è l’essenza di cui noi siamo alla ricerca e, soprattutto, quale è la tua essenza?

L’essenza in generale non so cosa sia, da quando gli alchimisti hanno parlato della quintessenza… è forse ciò che rimane, pulisci e pulisci ciò che resta. Per quanto riguarda me, non so cosa sia la mia essenza. Io non sono una persona che può definirsi equilibrata, non dico che sono pazzo, certo… ma non sono molto conforme. La mia essenza è ancora da trovare, credo.

A cosa brindiamo?

Alla salute.

Essenza d'artista - Nino Scaffidi

Essenza d'artista, foto di Giacomo Marighelli

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