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ZERO.40 | intervista a GIANCARLO FRIGIERI

Zero.40 è la nuova rubrica del Il silenzio del cantautore.

I conversatori si siedono in un angolo, all’interno del Korova milk bar, il tempo di bere una birra media: 0.40 cl.

Un piccolo viaggio fatto di parole per conoscere meglio gli artisti che hanno partecipato a questa rassegna.

Rubrica a cura di Carlo Casaburi.

Questa intervista è stata effettuata grazie all’aiuto di Chiara Finizza.

Giancarlo Frigieri ha un lavoro, una famiglia, una chitarra, e la sua voce.  È in grado di coinvolgere le persone che ha attorno e vive ogni giorno come una sfida. Non ha paura di essere popolare o di suonare, a suo modo, canzoni pre-etichettate come tali. Come musicista ha collaborato a progetti molto importanti. Basta ricordare i Love Flower (1989/1994) dove suona la chitarra, i Julie’s Haircut (1995-1997) nei quali è batterista e, da ultimo, i Joe Leaman (1996/2006), dove suona e si sperimenta come cantante. Ha pubblicato diversi album. Ora Giancarlo Frigieri suona e canta da solo. Viene intervistato da Chiara Finizza al Korova milk bar poco prima del concerto in acustico. Io avevo preparato qualche domanda per lui ma non sono presente. Chiara aggiunge molto del suo e fa benissimo. Ne viene fuori una discussione interessante dove si parla di musica, di cibo, di lezioni di nuoto, e di cosa portarci dietro nel caso ci venga in testa di fare un tour musicale. Buona lettura.

Chi è Giancarlo?

Uno che suona e che canta. Secondo me è una risposta semplice e non svilente. Sono uno che lavora in ceramica, suona la chitarra, e canta.

E chi era ieri?

Uno che lavorava in ceramica e basta… che quando arrivava la sera suonava la chitarra e cantava.

Parliamo del tuo inizio come musicista…

Io ho iniziato a 12 anni a suonare con il gruppo di quartiere come tutti. Nel tempo ho avuto varie esperienze in gruppo: Love Flower, Julie’s Haircut, Joe Leaman… poi ci siamo sciolti e ho cominciato a suonare da solo.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza di gruppo oggi?

È stato molto bello. Soprattutto in quella fase lì, quando avevo tra i 18 e i 32 anni…

Si cercava di crescere insieme, di fare qualcosa insieme, di realizzare qualcosa di nuovo. È tutto completamente diverso da ciò che io faccio oggi come solista. Da solista cerco di raccontare delle storie. La parte musicale è importante ma non ha più la pretesa di dare sfogo a quel qualcosa di nuovo, almeno per me. Cerco di essere popolare e di mettere qualche piccolo ingrediente mio che possa rendere tutto più gustoso pur rimanendo accessibile e senza però diventare ruffiano.

Parliamo dei tuoi testi, narrano di storie quotidiane tue, di persone reali, oppure…

Quasi mai. Se uno racconta delle storie deve essere un bravo osservatore, questa è la prima cosa. Io cerco di guardare molto, un po’ come faceva Giorgio Gaber. Cerco i “Tic”. Guardo se la persona si muove in un certo modo, se ha un nervo che va per i cavoli suoi, i suoi piccoli comportamenti… cerco di coglierli, prendo nota, realizzo una frase. Viene fuori un grande blocco di tante cose, un archivio e, ad un certo punto, le unisco… Riesco a delineare un personaggio. Da lì il personaggio può andare dove vuoi, ed è abbastanza fantasioso ma credibile.

Cosa nasce prima? Un testo o la musica?

Spesso parto dal testo ma dipende. Il testo generalmente ha già una sua musicalità… nel senso che è in grado di far partire una linea melodica. E da questa poi si comincia. Poi è un processo abbastanza di insieme. A volte è più importante la musica. E Il testo magari parte da delle piccole immagini, delle suggestioni. Si capisce solo dopo dove si va a parare…

È difficile?

Beh, insomma. Dire che non sia difficile è una bugia. Io ho cominciato a scrivere in italiano a 36 anni. Quando suonavo in giro e mi chiedevano perché non provassi a cantare in italiano rispondevo “mai e poi mai”. Dicevo sempre “quando avrò l’età della ragione”. Ad un certo punto ho cominciato a vedere che quando suonavo avevo l’esigenza di raccontare qualcosa e, allo stesso tempo, mi rendevo conto che se lo facevo in un’altra lingua riuscivo ma non venivo davvero capito. Mi è venuta la voglia di misurarmi. Ho pensato di non essere all’altezza.

Hai un suono molto folk, da menestrello…

Mi sento molto spesso dire questa cosa, che ho un suono molto povero o scarno. È pur vero che cerco una versione molto artigianale. È capitato usassi piccoli effetti tipo coperchi di pentole per fare un suono da campana insieme ad altre persone con cui collaboro. Ci divertiamo molto in questo.

C’è stato un momento nella tua carriera dove hai provato particolare difficoltà?

Spesso. Io lavoro, ho costante difficoltà. Nel far conciliare il suonare con il lavoro… Stasera sono arrivato di corsa, per dire. Poi c’è anche la famiglia. E infine, stasera so benissimo che ora sono qui a suonare ma le persone non sanno chi sono. Ciò che io devo fare è conquistarle sul palco. Mostrare chi e cosa faccio. Se ci riesco, sono stato bravo. Domani dovrò ricominciare. È come costruire i castelli con le carte. Sono molto belli quando ci riesci.

Per molto tempo, anni fa, credevo la colpa fosse degli altri. È la società che non capisce gli artisti… oggi non la vedo così. È una scusa. Forse non sono abbastanza bravo. Non lo vivo come un problema. Oggi il mio scopo è stare sul pezzo, ogni giorno. Il mio scopo è suonare e far sì che ci sia l’attenzione che cerco, che qualcuno porti a casa un disco perché gli sono piaciuto, che dica “che bella serata ho passato”. Quando scopri che ti basta questo è impossibile buttarti al tappeto perché ci sei già, nessuno può fermarti. Non hai frustrazioni… qualcuna capita, ma sono normali. Sono quelle che fanno parte della vita di tutti i giorni. Il fatto di dire “io suono, ma in Italia non si vive di musica” è sbagliato. Se tu non vivi di musica sarai bravo a suonare e non a promuoverti, per dire. Vivere di musica non è un diritto. Suonare è un mestiere, con tutti i suoi aspetti, in cui devi essere bravo. La gente che è capace c’è. È molto meno, certo… ma perché la dinamica di questo mestiere è cambiata. Ma le dinamiche di tutti i mestieri cambiano.

Cosa ne pensi del panorama musicale odierno?

Mah, io ascolto poco e nulla. Sento parlare di molti gruppi che sembra abbiano fatto un botto della Madonna. Ho sentito parlare dei Cani, dei Thegiornalisti… Ne sento parlare. Così di cantautori con nomi come Cosmo, Calcutta… Io non li conosco, non so che musica facciano e sinceramente non me ne frega nulla. Il mio scopo è trovare posti come questo, piccoli locali dove si possa suonare. Se poi altri fanno concerti enormi, anche con musica che fa schifo, io rispondo “sti cazzi”. Anche negli anni 90 avveniva questo. Io avevo una ventina di anni…  oggi tutti dicono che ascoltavano i Nirvana, ma i Nirvana non erano al primo posto in Italia. Al primo posto c’era la Pausini con La Solitudine, di cui io faccio una discreta cover. Stasera non la faccio. Tutti storcono il naso quando parto a suonare quella. Pensano “ah, è quella della Pausini”. E io dico “Ascolta! Non giudicare una macchina dalla targa”. A me questa cosa dà molto fastidio: questi compartimenti stagni. Quando mangi passi dallo zampone con i fagioli al tiramisù, l’importante è non mettere tutto nello stesso piatto. La musica è cibo, cazzo!

(Giancarlo: “ma stai registrando tutte queste cazzate che dico?”. Chiara: “Sì”. Giancarlo: “Dio…”. Ridono.)

Vuoi dare consiglio a chi vuole intraprendere questa carriera?

Allora: portatevi sempre dietro un metro di quelli da cinque, di ferramenta, di quelli che si srotolano… scrivilo sono serio… una torcia, magari con una penna attaccata, e poi… intanto queste due cose. Ce n’è un’altra che dico spesso ma ora non mi viene in mente.

Ok, ehm… Potessi tornare indietro cambieresti qualcosa?

Fa te. Nel senso… Io ho provato, quando avevo 30 anni, a fare delle cose. Molti mi dicevano di insistere su queste. Io non le sentivo. Non ero diventato ancora grande. Ho cominciato a dire delle cose dopo, quando mi sentivo di poterle dire e non abbozzandole. Anche se poi abbozzo anche adesso…

Al te bambino diresti qualcosa?

Troppe cose. Troppe.

Sicuramente gli direi di imparare a nuotare e di non fingere di avere una mezza tonsillite per saltare i corsi di nuoto perché non sa nuotare e se ne vergogna. Direi “impara a nuotare e fai attività fisica”. Di cose ne direi tante, ma non si può. Quelli che dicono “rifarei tutto” li trovo dei pirla. Se hai la possibilità fai degli errori ma fanne di nuovi. Fare errori diversi significa vivere due vite, sarebbe bello.

E nel futuro cosa vedi?

Non lo so. Il futuro non è scritto. Nel futuro immediato penso che ci sarà ancora qualche anno di musica, e poi non so se smetterò di raccontare cose con la chitarra e mi dedicherà a cose più strumentali. Mi piacerebbe provare senza pensare a nulla. L’ho fatto qualche anno fa con degli amici in un gruppo che si chiamava Tua Madre. Ci siamo divertiti molto.

Album nuovi?

Io scrivo di continuo. Ci sono già 10 -15 canzoni che viaggiano da un po’. Alcune sono pronte ma non stanno bene nell’ultimo disco per argomento. Non avrebbe senso inserirle. Sarebbe come uscire dal tema. Poi chi ascolta magari non se ne accorge.  Devo ancora capire se questo ultimo aspetto sia il segnale che sto facendo tutto benissimo o tutto malissimo.

Oggi suoni a Il silenzio del cantautore, è una rassegna di musica totalmente in acustico, senza alcuna amplificazione, al naturale per ricondurre il cantautore alla sua origine ed autenticità. Una ricerca dell’essenza, sia per chi suona che per chi ascolta. Secondo te in cosa consiste questa essenza, se è importante perché lo è, e soprattutto qual è “l’essenza” di Giancarlo Frigieri?

Secondo me il concetto dell’autenticità nell’acustico è un esercizio retorico. Io spesso suono con dei loop, ma non sono meno autentico di quando suono così. Certo sei più nudo, le canzoni devono essere più autonome dal punto di vista timbrico, melodico e armonico… e non è facile. Io mi sento carico come una molla, una palla di fucile. Questa è la mia essenza. Sono contento di quello che faccio, è bello.

A cosa brindiamo?

A qualsiasi cosa. Come diceva Zappa. Per qualsiasi motivo, per qualsiasi luogo… spero di suonare bene.

essenza d'artista - stephen lawrie the telescopes

Essenza d'artista, foto di Giacomo Marighelli

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