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ZERO.40 | intervista a FRANKY MAZE

Zero.40 è la nuova rubrica del Il silenzio del cantautore.

I conversatori si siedono in un angolo, all’interno del Korova milk bar, il tempo di bere una birra media: 0.40 cl.

Un piccolo viaggio fatto di parole per conoscere meglio gli artisti che hanno partecipato a questa rassegna.

Rubrica a cura di Carlo Casaburi.

Questa intervista è stata effettuata grazie all’aiuto di Chiara Finizza.

Francesco Mazzi, in arte Franky Maze, è un songwriter che si muove tra due mondi, quello del folk e del cantautorato più “dark”, sulle orme di Nick Cave e David Eugene Edwards.

Non ama definirsi un cantautore. In italiano la parola “cantautore” ha un sapore strano, «sembra uno strano incrocio tra un cantante e un professore» dice, ma di fatto, scrivendo e interpretando i suoi pezzi, non può chiamarsi in modo diverso.

Quindi, se dobbiamo classificare, cantautore va bene, ma preferisce songwriter.

Il suo primo album arriva alle mie orecchie qualche giorno prima del concerto che lo vede protagonista, il 12 gennaio, al Korova Milk Bar.

Si chiama night/flood, è composto da soli cinque brani, e dura circa 15 minuti.

È caratterizzato da uno stile spesso cupo, a tratti violento, di forte impronta folk.

Mi ricorda le ballate americane di un tempo, quelle dove spesso si narrano storie di viaggi, leggende, incontri con demoni interiori che, racchiusi in un armadio per non essere visti, amano uscire solo di notte, quando siamo più indifesi, per inseguirci fino all’interno dei nostri sogni.

Non ho mezzi termini: io ho trovato il sound dell’album pazzesco.

I suoni sono curati con meticolosità. Mostrano un lavoro attento, ma allo stesso tempo viscerale, spontaneo.

I testi non sono da meno.

Ricchi di metafore, allegorie, sembrano descrivere la vita di un uomo sempre al confine. Un confine che è spesso labile, che tenta di separare il passato dal presente, ma non vi riesce, o il bisogno di sicurezza dal perdersi nei propri errori.

Un confine dove i demoni sono idoli da venerare, dove l’amore è capace di colpirti come un’inondazione, dove si sente la nostalgia di una terra promessa, e forse se ne auspica il ritorno, mentre però si coltivano peccati e si conservano come fossero pietre preziose (in merito basta leggere il testo di Dark was the night, oppure Love is the flood).

Quando Francesco è a Ferrara per la rassegna “Il silenzio del cantautore” io non sono purtroppo presente. È una cosa che mi dispiace. Avrei voluto verificare dal vivo se la stessa carica emotiva del disco sia capace di riproporsi all’interno di un piccolo rettangolo, sopra uno sgabello, nella voce e nelle dita di un uomo con in mano una semplice chitarra acustica.

Fortunatamente, la mia amica, e adesso collega in questa rubrica, Chiara Finizza (nel leggere queste righe forse ora arrossirà) prende incarico di parlare con Franky, rivolgergli le domande che più mi preme fargli, improvvisarne altre, e permettermi almeno di conoscere un po’ meglio l’artista dietro questo album che ho tanto apprezzato.

L’intervista si svolge ad un tavolino. Franky ha un calice di vino in mano, Chiara un bicchiere di birra. Intorno la gente chiacchera prima del concerto.

Cominciamo a presentarti a chi non ti conosce, chi è Franky Maze?

Francesco stasera è Franky Maze: artista, visionario… non saprei.

È difficile dirlo.

Forse è più semplice parlare del progetto, perché rende di più la possibilità a chi ascolta di farsi un’idea di chi sono, di inquadrarmi. Quest’ultimo è guidato da aspirazioni ben precise, che appartengono al mondo del folk e a quello che io chiamo cantautorato dark, non so come altrimenti definirlo. L’intento è quello di ritrovare una connessione a qualcosa di antico e preesistente al presente.

Nella ricerca di questa connessione c’è il bisogno riscoprire un linguaggio che sia in grado di comunicare con gli altri attraverso la musica, un mezzo non prettamente fisico, che proprio per questo riesce ad essere molto potente.

Quando è stata la prima volta che hai preso in mano una chitarra e quando hai capito che volevi diventare un musicista?

Ho iniziato per scherzo, da ragazzino. Forse volevo darmi delle arie, forse ero spinto da un’esistenza alienante, perché mi sentivo incompreso in un territorio di provincia (la provincia è quella di Imperia) dove sono cresciuto. Quindi sì, è iniziato da giovane. Certo, non giovanissimo come Mozart… ero già adolescente. Ero in quarta liceo quando presi in mano la mia prima chitarra, una chitarra classica. Da lì, anche attraverso vari percorsi tormentati, e insegnanti di chitarra classica, lentamente ho trovato la mia strada. Quindi ho cominciato a “disimparare”, come dice Yoda in Guerre Stellari, quello che avevo appreso, legato soprattutto al mondo della tecnica, per percorrere qualcosa di più personale e istintivo, e trovare finalmente il mio modo di suonare e il mio approccio allo strumento.

Hai altre passioni oltre la musica?

No (sorride). Fare il musicista è abbastanza totalizzante, impegnativo. Anche i lavori che mi trovo in alcune occasioni a fare servono soprattutto per… “arrangiare la situazione”. Per portare avanti questa passione. Il mio tempo libero è sicuramente occupato solo dalla musica, non mi dedico ad altro.

 

Cosa significa fare il musicista oggi?

Beh, significa non avere una casa…

Il mondo del musicista, intendo, oggi è cambiato. Nella società, ad esempio, forse non è più lo stesso…

Ah, certo. Se intendi quello, direi di sì.

Ovviamente è una domanda molto complessa.

Nel senso… oggi la musica è legata, almeno per alcuni, che magari vi si approcciano attraverso i talent show, ad un certo tipo di intrattenimento e di emotività.

E in questi contesti il concetto di musicista varia molto da quello tradizionale, anche rispetto a quello che nell’immaginario collettivo è il musicista di un tempo…

Ci sono stati anni in cui il musicista ad esempio era protesta, ci sono stati anni in cui, magari negli anni ‘90, in cui era qualcosa di ancora diverso…

Secondo me, nel momento in cui c’è un’espressione artistica, o comunque di sé stessi, è sempre una forma di protesta e di rivolta.

O almeno, io la vivo molto in questo tipo di dimensione. Nel senso che la società, l’ambiente che ti circonda, parlavamo prima della provincia dove io ero quello “strano”, con la barba lunga… insomma, la società in un certo senso vuole obbligarti ad essere in un certo modo.

Ed essere sé stessi è una ribellione.

Il fatto di esprimersi diventa il mezzo per rompere queste barriere che a volte si creano, legate ad un contesto culturale, o anche alla paura di ciò che è diverso.

C’è qualcuno che ti ha assistito durante il tuo percorso a cui ti senti di dire qualcosa oggi, un “grazie” o qualcuno che ti ha bloccato a cui diresti “va al diavolo”?

Si potrebbero dire moltissime cose, ma forse meglio non aprire determinate porte e dirne poche (ride).

Ci sono sicuramente persone a cui oggi direi “va al diavolo”, ma non mi va.

Ci sono anche molte persone a cui sento invece di dire grazie, e siccome non voglio dimenticare nessuna di queste preferisco non fare elenchi. Ci sono tanti amici, altri musicisti con cui ho condiviso qualcosa, anche disagi viscerali, la mia ragazza, e la mia famiglia che mi ha sostenuto emotivamente durante tutto questo percorso. Un percorso che si è spinto anche fuori i confini nazionali, arricchendo ulteriormente il contesto.

Cosa pensi del panorama musicale, soprattutto di quello italiano?

Io forse non sono la persona giusta per questo tipo di domanda. Il panorama italiano, in italiano, è una scena che io non seguo e non conosco. Non perché mi faccia schifo, sia chiaro, ma semplicemente perché non è il mio campo, e i miei riferimenti sono differenti. Questi si riferiscono soprattutto a cose americane o europee.

Se potessi parlare al te bambino, diresti qualcosa al tuo io del passato?

Direi sicuramente di non aver paura, e di seguire il suo desiderio.

Ho ascoltato il tuo primo album, al quale spero seguiranno tanti altri lavori perché mi è piaciuto davvero molto. Parliamo del sound, sembra molto ricercato ma allo stesso tempo viscerale. Mi piacerebbe sapere quale è la sua storia. Cosa lo ha condizionato, se un luogo, un genere in particolare, o qualche artista che ammiri? Insomma, vorrei capire come è nato.

Io fin da quando ero molto più giovane e avevo cominciato a suonare non riuscivo ancora a scrivere qualcosa di davvero mio. Così, per varie ragioni che hanno coinvolto anche aspetti psicologici e legati alla ricerca di una consapevolezza, sono riuscito a far uscire finalmente qualcosa fuori dalla mia cameretta. Facevo cose molto diverse da ora. Un passaggio determinante è avvenuto nell’estate del 2009, credo, dove ho scoperto contemporaneamente la musica occitana, che mi ha permesso di venire in contatto con una dimensione musicale totalmente diversa da quella che conoscevo fino a quel momento. Si tratta di una dimensione dove l’artista non si ferma a salire su un palco e a suonare per un pubblico che si limita ad ascoltare, ma di una musica che principalmente nasce per la danza, e in virtù di questa cosa vive e respira a contatto con il pubblico. Questo ha fatto sì che scattasse in me una molla e ha generato la prima scintilla che ha acceso il mio amore per il folk. Sempre la stessa estate mi avvicinai al folk americano, e da lì è cambiato un po’ tutto, ed ebbi la mia totale illuminazione sul percorso che poi ho iniziato ad intraprendere.

Anche i testi sono molto particolari. Mi sono rimaste impresse parecchie frasi. Sembra che da queste traspaia la nostalgia di un ritorno in un luogo sicuro, ma allo stesso tempo la necessità di rimanere un vagabondo delle emozioni e degli errori. Io non so se questa interpretazione rispecchia nulla di quello che volevi dire o è un viaggio tutto mio… Ma se sì, come convivono queste due parti?

Assolutamente sì. Il come convivano non è ho la più pallida idea… In qualche modo è una ricerca di radici che non so nemmeno se esistano. Ognuno sente di appartenere a qualcosa di diverso, e quando è qualcosa di distante, e non ben definito, può esserci una sensazione molto spaesante.

Quanta importanza ha la musica in un brano musicale, e quanta invece il testo? Cosa nasce prima?

Volendo schematizzare nell’ 80% dei pezzi che ho scritto è nata prima la musica, e poi la melodia, ed infine le parole. Il restante 20% il contrario… quindi dipende.

Oggi suoni a “Il silenzio del cantautore”, è una rassegna di musica totalmente in acustico, senza alcuna amplificazione, al naturale, per ricondurre il cantautore alla sua origine ed autenticità. Una ricerca dell’essenza, sia per chi suona che per chi ascolta. Questa è una domanda un po’ bizzarra forse, rispondi come puoi: secondo te in cosa consiste questa essenza, se è importante perché lo è, e soprattutto qual è “l’essenza” di Franky Maze?

Questa sì che è una domanda complicata…

Forse in questo periodo ho le idee confuse, non saprei.

L’essenza può essere molte cose. È assolutamente vero che la dimensione unplugged riporta ad una dimensione più originale e intima. D’altra parte io mi trovo molto bene anche in una dimensione amplificata.

È strano come a volte si abbia la necessità, nonostante questo possa apparire in contrasto con quanto detto prima, di creare una distanza dal pubblico e indossare sul palco “una maschera”. Questa separazione fa sì che il quadrato dove suono diventi uno spazio sacro, mio. Può permettermi di ricercare me stesso mentre sono al suo interno, magari scoprire cose che ho paura di conoscere. Un processo di catarsi, che avviene però davanti ad un pubblico.

Quindi la mia essenza in qualche modo è quella. Questa ricerca durante il live. L’intenzione di espandersi al proprio interno, un vagabondare alla ricerca della mia casa.

Quindi come vivi il tuo rapporto con il pubblico?

Mi piacerebbe viverlo molto di più alla Nick Cave, che si butta in mezzo al pubblico…

Diciamo che per il momento io resto ancora molto sulla difensiva. Sogno sempre di uscire, ma per ora sono ancora un po’ geloso di questa intimità sul palco. È una cosa che adesso è così ma… domani può essere diverso.

Hai già un altro album in cantiere? Nuovi progetti?

Sì, un sacco di roba. Ci sto lavorando, l’idea c’è. Sicuramente un altro album, non so quando o con chi, ma l’idea sicuramente c’è.

Bene, direi che abbiamo finito. A cosa brindiamo?

Direi a questa serata.

Cheers!

Cheers.

essenza d'artista - franky maze

Essenza d'artista, foto di Giacomo Marighelli

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