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ZERO.40 | intervista a BOB CORN

Zero.40 è la nuova rubrica del Il silenzio del cantautore.

I conversatori si siedono in un angolo, all’interno del Korova milk bar, il tempo di bere una birra media: 0.40 cl.

Un piccolo viaggio fatto di parole per conoscere meglio gli artisti che hanno partecipato a questa rassegna.

Rubrica a cura di Carlo Casaburi.

Non so se la parola cantautore sia esaustiva per descrivere Tiziano Sgarbi, in arte Bob Corn, o almeno, non sono abbastanza convinto che sia esaustiva in base all’impressione che io ho avuto di lui il 19 gennaio al Korova milk bar. Era la prima volta che lo ascoltavo (mea culpa) nonostante abbia all’attivo diversi album e, con la sua chitarra in spalla, abbia viaggiato anche oltre i confini nazionali, accompagnato solo dalle sue storie, sia in Europa che negli Stati Uniti. Insomma, ha dietro una storia musicale di tutto rispetto, è conosciuto e amato da molti, è considerato il padre spirituale di buona parte della musica indipendente, specialmente nel territorio emiliano.

Bob Corn racconta storie. Lo fa con la musica egregiamente, ma anche tra una canzone e l’altra, spesso con ilarità e, fuori dal palco, fermandosi a chiacchierare con chi ha di fronte.

I suoi testi sono malinconici e romantici. Si sposano perfettamente al suo sound delicato e sincero. L’ultimo aspetto esplode nel contesto live, dove con una semplice chitarra classica Bob Corn, per molti semplicemente Tizio, riesce a zittire un pubblico numeroso che viene catturato dal suo carisma e dalla sua franchezza.

È fondatore dell’etichetta discografica Fooltribe e organizzatore di Musica nelle Valli, festival indipendente che ormai da 15 anni propone band da tutto il mondo. È un cantautore folk. Odia le mode musicali. Vive la musica per quello che è, qualcosa capace di nascere e di raccontare, che poco si sposa alla visione del “prodotto” che in molti contesti oggi sembra fare da padrone.

Forse fare musica significa saper dividere storie ed emozioni. Bob Corn, Tizio se preferite, riesce a farlo, con la sua piccola chitarra sempre appesa sulla schiena, pronto a prenderla tra le dita e a fermarsi in ogni luogo che abbia voglia di ascoltare per poi tornare in viaggio.

Ci sediamo ad un tavolino al piano di sopra.

Ciao.

Ciao!

Cominciamo spiegando chi è Bob Corn?

È il nome che uso quando suono e canto, ma fondamentalmente sono io: Tiziano.

Solo questo?

 

No, ovviamente mi piace giocare con questo dualismo, tra me e me. Posso dire che Bob Corn aiuta Tizio a stare al mondo, a vivere nel mondo con l’idea di fare qualcosa.

Tu hai all’attivo molti album. Il tuo primo disco risale forse al 2004, si tratta se non sbaglio di Sad punk and pasta for breakfast. Vorrei capire se guardando ai tuoi ultimi lavori è cambiato qualcosa nei tuoi dischi, e se è cambiato qualcosa in te…

Direi che non è mai cambiato nulla in Bob Corn. Perché sono quello che sono. Mi verrebbe da dire che non sono musicista, ma che suono per esigenza…

Che intendi?

Che quando ho delle cose che non mi stanno più dentro scrivo canzoni. Era un po’ che non mi capitava. Ma poi avviene un incontro, una situazione… e prendi la chitarra e nasce una canzone. Funziona così.

Eppure io ho sentito uno dei tuoi ultimi lavori, Songs to the wind, e l’ho trovato davvero molto curato, diverso dai primissimi album, con dei fiati che mi ricordavano i Beirut. Ora mi viene in mente la canzone Language and luggage

Ma in realtà… no. Uno spesso sente una tromba e percepisce i Beirut, ma è solo una tromba. Forse, il disco We don’t need the outside è stato quello più curato in assoluto, soprattutto anche in fase di mix e di registrazione. Gli altri, ci sono certo vari arrangiamenti, ma l’idea di fondo è sempre rimasta la stessa. Per farti capire, nell’ultimo disco, voce, chitarra e batteria sono registrati insieme, e il resto è stato aggiunto dopo.

Quindi una sorta di fedeltà?

Assolutamente sì.

Nella tua esperienza di vita la musica è stata totalizzante o ti sei ritrovato anche a svestirti dagli abiti di musicista e occuparti di altro?

La musica mi ha accompagnato sempre, per anni. Ultimamente ne ascolto molto meno.

Non riesco ad ascoltare musica se cammino, mi distrae. Preferisco guardarmi attorno e vedere cosa mi circonda, così se viaggio in treno. Ho fatto sì delle ricerche musicali, ma in piccola parte. Suonavo anche da ragazzino, grunge. Poi quando ho iniziato a suonare in giro, la musica è stata la mia vita. E da quando sono Bob Corn è rimasto tutto così.

Tu sei stato anche all’estero. In Europa e negli USA, cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Ho fatto più di trecento concerti in Europa, e sono stato anche negli States. Quello che mi ha lasciato lo porto in testa, come ogni luogo e ogni esperienza che vivo. I luoghi sono diversi e quindi lasciano un’esperienza diversa, ovviamente. Di diverso all’estero ci sono i posti e le lingue, non altro. Io sono un curioso in tutti i posti. Non mi sento di certo un musicista da studio di registrazione. Per me ha senso suonare se vai in giro, se puoi portare in giro la tua musica.

Bob Corn è fondatore di Fooltribe e organizzatore di Musica nelle valli, ci parli di questi due progetti, cosa sono, e cosa significano per te?

Fooltribe è sia un’etichetta che un progetto che permette l’organizzazione di concerti, ma anche tour. Circa nel 2002 siamo venuti anche qui a Ferrara al Renfe, con diverse rassegne … Musica nelle valli, che si è evoluta nel tempo, è una rassegna di concerti di musica. Ha “surfato” nel tempo e ora è una realtà davvero grande. È un festival di musica indipendente, o come si suole dire “indie”, una parola che a me non piace perché di questi tempi risulta pericolosa. Una volta la musica indie era qualcosa di particolare, oggi non sai bene a cosa ti riferisci quando ne parli.

Cosa pensi del panorama musicale, italiano soprattutto, non necessariamente in italiano, e del panorama underground in genere?

Devo dire che tutto ciò che attualmente circola molto, tendo a non ascoltarlo. Ho paura di rimanere vittima di qualche canzone “accattivante”. Non vorrei poi ritrovarmi a canticchiare un motivetto. In ambito invece underground, anche in Italia, c’è ancora un gran bel movimento, e ci sono molte situazioni dove si può suonare.

 

Cosa significa fare musica oggi ed essere un musicista?

Non lo so. Io so quello che faccio io, e non mi vivo questa esperienza pensandomi un musicista. Io giro con la mia chitarra e le mie canzoni, cercando di star bene e condividendo questo con gli altri.

Hai percepito, nel corso della tua carriera, che il panorama musicale si sia modificato o che sostanzialmente cambiano i nomi, gli artisti, ma tutto rimane lo stesso?

Io una differenza l’ho sentita nel tempo. Le band di punta agli inizi degli anni 2000, nel panorama sotterraneo, quando (Manuel) Agnelli era già grosso e faceva il Tora! Tora! e voleva chiamare i “piccolini”, erano i Julie’s haircut, gli One Dimensional Man, i Perturbazione… per citarne solo alcuni. Oggi, avrei più difficoltà a fare dei nomi.

Manca il prendere una chitarra e spaccare tutto.

Pensi che il problema sia che c’è meno gente che ha questo desiderio o capacità, o che non ci siano più le opportunità per farlo?

Penso che oggi sia più facile premere un tasto e metterci un bit, per creare un bel motivo ed essere ascoltati. Ho paura che questo allontani molti da cosa significa fare buona musica. Ovvio, i duri e puri ci sono sempre. Ci sono, e ci saranno. Questo in ogni ambito: punk, rock’n’roll, garage, hardcore, sperimentale… quelli ci sono sempre. Ma c’è una via di mezzo di persone che potrebbero fare qualcosa e vengono risucchiate da questo nuovo modo di “fare musica”. Manca quella fetta di persone che prendono questa strada per facilità di successo, bisogno di comunicare…

Come nasce il nome Bob Corn? Da pop corn?

Sì. Ricordo che un mio amico voleva realizzare un corto su un piccione che mangiava granoturco. Mangiava tanto, diventava enorme, esplodeva… e diventava un solo grande pop corn. Questa cosa mi ha dato spunto e ho sostituito le lettere, ed è nato Bob Corn.

Magari mi sarebbe venuto in mente al cinema… ma a me è successo pensando a questa immagine.

Il tuo sound è molto delicato, intimo. Quanta importanza ha raggiungere l’intimità nella musica e cosa significa condividere qualcosa di personale, magari di segreto anche per sé stessi, con un pubblico?

Per me è molto difficile rispondere, perché è quello che faccio. Mentre suono sento che succede quello, ma non so spiegare il motivo…

Mi ricordo un concerto casalingo, in Olanda. Eravamo in sette, a casa di una ragazza. Io mi misi a suonare, ed era la prima volta che facevo una cosa così. A fine concerto mi fecero delle domande, come noi adesso, sulle canzoni addirittura, e si instaurò quindi un momento che potremmo definire super intimo. Rimasi molto colpito da questa cosa, ma mi comportai allo stesso modo che davanti ad un pubblico al bar. Quindi non so dirti come avviene, succede e basta.

Hai mai avuto il blocco del musicista? Come hai rimediato?

È sempre un blocco del musicista, perché non sono un musicista… non sai quando una canzone nasce, lo fa e basta. Succede grazie ad una situazione, ad una persona…

È il 20 maggio 2012. È il giorno del terremoto. In seguito viene svolto anche un documentario che ti riguarda, stiamo parlando di inagibile

Sì. Per me è stato un momento di chiusura. Il terremoto mi ha portato via la casa. Ho smesso di comporre e di viaggiare. C’è stato questo documentario.

Mi ha fatto dire: sono ancora qui. Mi ha fatto spiegare il perché non potevo e non volevo più viaggiare per mezza Europa. Mi è venuta voglia invece di suonare i miei vecchi pezzi più nella mia terra. Inagibile descrive questa situazione, e cosa ha significato.

Qual è la cosa più bella di fare musica, e se esiste, la cosa più brutta o negativa?

Sicuramente quando ti viene una canzone nuova, quando pensi sia completa e, fino ad una secondo prima, non esisteva. Poi esiste… sicuramente è una cosa bellissima.

Suonare ai concerti è una cosa molto bella. Forse una cosa brutta sono le interviste (ride forte, ma poi mi assicura che è una battuta) … No, credo non ci sia una cosa brutta nel fare musica.

Sei tornato bambino, hai la possibilità di rifare tutto da capo: cambieresti qualcosa?

Io mi sento ancora bambino, perciò non mi sento di dover tornare indietro e cambiare qualcosa.

Oggi suoni a “Il silenzio del cantautore”, è una rassegna di musica totalmente in acustico, senza alcuna amplificazione, al naturale, per ricondurre il cantautore alla sua origine ed autenticità. Una ricerca dell’essenza, sia per chi suona che per chi ascolta. Secondo te, in cosa consiste questa essenza, se è importante perché lo è, e soprattutto, qual è “l’essenza” di Bob Corn?

Troppo difficile… potrei fare lo sborone e dirti guarda il mio concerto. Nel senso. Il difficile per me è spiegarle queste cose… Bisogna viverle, sul momento.

Direi che è tutto, a cosa brindiamo?

Alla serata, direi.

Cheers.

Cheers…

essenza d'artista - bob corn

Essenza d'artista, foto di Giacomo Marighelli

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