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ZERO.40 | intervista a ONEMANPIER

Zero.40, rubrica de Il silenzio del cantautore.

I conversatori si siedono in un angolo, all’interno del locale, il tempo di bere una birra media: 0.40 cl.

Un piccolo viaggio fatto di parole per conoscere meglio gli artisti che hanno partecipato a questa rassegna.

Rubrica a cura di Carlo Casaburi.

One Man Pier è il progetto creato da Pier, chitarrista degli Evil Tardevil ed ex cantante e chitarrista dei Figli del Benessere. Pier è un cantautore che divide la sua vita a rincorrere due sogni, la musica e la pittura. In entrambi odia qualsiasi tipo di imposizione in grado di stroncare la creatività artistica, che raggiunge il suo apice quando nasce come emozione sincera. Con lui parliamo di vignette (ricevo qualche complimento per le locandine realizzate per il Silenzio del cantautore), di pittura, di musica, di Freak Antoni, e di come Rino Gaetano sia in realtà un punkettaro. Buona lettura.

Chi è One Man Pier?

Si tratta di un progetto nato nel 2010. Prima avevo suonato in gruppi punk rock e gruppi metal in ambito locale… dieci anni fa, avevo solo vent’anni. Poi finite queste avventure ho cominciato qualcosa di mio, che nascesse solo da me. Il nome richiama l’idea della One Man Band, il pensiero iniziale è stato questo. Negli ultimi anni sto riscoprendo la dimensione solista, come questa sera. Faccio molti live, soprattutto quando mi sposto per il territorio fuori regione, e suono in acustico, ma inizialmente il progetto aveva, e ha, alle spalle sempre una band che accompagna. Quando posso, ultimamente poco, suono sempre in band.

Dalle mie parti i locali dove si fa rock sono sempre meno (Cittadella, Padova), quindi ci siamo un po’ reinventati. Il genere lo ha permesso. Anche in band suono la chitarra acustica. Ad ogni modo il progetto riprende i miei ascolti passati, quindi tanto punk rock… non solo dal punto di vista musicale ma anche come attitudine. Un’atmosfera priva di limiti o di confini. Mi sono affezionato anche al punk italiano, come gli Skiantos, grazie soprattutto a mio padre, musicista anche lui, che mi ha portato a vedere molti concerti. Tutto si è evoluto in questa direzione. Se devo invece fare un nome di un cantautore che ho preso come riferimento ti dico Rino Gaetano, perché in lui riconosco il cantautorato ma con uno spirito, inteso proprio anche come attitudine, punk.

Tu non ti occupi solo di musica...

No, è vero. Altra passione è la pittura. Prima ti ho parlato di mio padre che è musicista. Mia madre invece si è sempre dilettata nell’arte figurativa e mi portava fin da bambino a diverse mostre. Lei mi ha avvicinato a questo mondo che mi piaceva allora e mi piace molto adesso. Tutto questo in un contesto sempre molto libero. Vedi mio padre, che era musicista ma per passione, e nella vita faceva l’artigiano, una dimensione comunque molto artistica, certo. Ho frequentato l’Istituto D’Arte di Cittadella. Allora non analizzavo cose mie, che mi interessavano davvero, perché quando ti impongono qualcosa è sempre difficile. Le cose imposte non mi sono mai piaciute. Imparate però alcune tecniche, uscito dall’Istituto D’Arte, è cresciuta questa passione che ora cerco di unire a quella musicale.

In che modo?

La mia pittura è molto influenzata dal mondo della musica. Mi piace raffigurare molto le persone, la forma umana. Ad esempio, ho fatto molti ritratti di Freak Antoni quando è scomparso. Cerco sempre di inserire un contesto musicale nella mia pittura.

C’è una differenza a livello emotivo nel dipingere o fare musica?

Nella dimensione casalinga, quando sei a dipingere una tela o a creare una canzone, non c’è molta differenza. È un momento che senti sempre molto tuo, dove tenti di esprimere qualcosa. Che ciò avvenga attraverso delle note o la creazione di un’immagine è indifferente. Non sono cose distanti. Poi ovviamente c’è una seconda parte, dove vai ad esporre ciò che hai creato, e lì le cose cambiano, perché il contatto del live musicale è diverso da quando si espone un quadro. Per quanto una persona possa riconoscersi in un quadro o in una canzone, la differenza è che nel live musicale il contatto con la persona è sempre più stretto. La tela riesce in qualche modo ad essere un filtro e a non esporti così tanto. Quando sei su un palco sei più esposto, è tutto più immediato.

Quando è stata la prima volta che hai preso in mano una chitarra?

Probabilmente in quinta elementare. Mio padre suonava il basso ma strimpellava anche la chitarra. Lui mi ha sempre fatto ascoltare molta musica e mi ha insegnato le basi per suonare. Mi ha insegnato molto, sia nell’ascolto che nel come vivere la musica. Un po’ mi dispiace perché oggi l’ha quasi abbandonata, la ascolta ma non la vive più direttamente come una volta. È rimasta un’emozione personale, c’è forse più intimità. Ho seguito qualche corso ma non mi ritengo un virtuoso o un tecnico. Non ho mai cercato l’assolo o la tecnica. Faccio il minimo indispensabile. Non significa che io snobbi chi fa dei virtuosismi, semplicemente io non li cerco.

Come nasce una canzone e come nasce un quadro?

Penso che ogni persona si butti in modo diverso in queste avventure. A me viene tutto molto spontaneo, non cerco mai di forzarmi nel creare qualcosa. Questo perché quando lo faccio non mi piace mai il risultato. Così un quadro, ma anche nel fare una canzone è lo stesso. Mi viene in mente una melodia, poi nasce il testo, c’è un flusso di idee. Ciò che mi piace più immaginare è che poi quando qualcuno ascolta una mia canzone possa rivivere qualcosa di suo. Per un quadro è un po’ una cosa diversa, parti da un’idea e attraverso le tue emozioni cerchi di tradurre l’idea in tela. Quando ho disegnato Freak Antoni l’ho rappresentato in diversi contesti storici perché volevo immortalare la sua figura come immortale nel tempo, ad esempio.

Chi sono i protagonisti delle tue canzoni?

Tutti e nessuno. Mi piace immaginare che ognuno possa mettere la sua storia in quello che ho scritto. Ovviamente ciò che scrivo fa parte di me. Devi raccontare qualcosa di tuo nelle canzoni, anche senza entrare nel dettaglio, non stiamo parlando di un articolo di giornale, è necessario che tra le righe fuoriescano le tue emozioni. Da parte mia non ci sono personaggi con nomi e cognomi, racconto di me filtrato attraverso le emozioni, più che sui fatti.

Quali sono le collaborazioni che ricordi con particolare piacere?

Freak Antoni sicuramente. La prima volta che ho visto gli Skiantos era il 2000, quindi diciotto anni fa. Mi portò mio padre. Io ero un loro piccolo fan. Poi si è creato un rapporto di amicizia, in primis con i miei genitori poi con me. Freak doveva essere il mio padrino di cresima, pensa te… poi questo non è successo per altre vicissitudini, ma ho ancora le lettere che testimoniano questa cosa. Quando ho raggiunto l’età che mi ha permesso di intraprendere questa avventura musicale in maniera più intelligente e concreta, almeno spero, gli ho chiesto di collaborare insieme. Gli girai una canzone. Mi disse ok, ma che dovevo venire lo stesso pomeriggio a Bologna. Sono partito con il mio batterista, strumentazione, le basi musicali pronte e abbiamo registrato Disorientato e assente, ed è stato l’ultimo, o forse il penultimo, pezzo che Freak Antoni ha registrato in vita perché poi l’anno successivo è mancato. Di lui ho un bellissimo ricordo. Grazie a lui collaboro ancora ogni tanto con Dandy Bestia, non nel senso di produrre cose assieme ma di condividere serate. Anche con Omar Pedrini ho condiviso il palco assieme. E, un altro ex Timoria, con Sasha Torrisi, che è anche un carissimo amico. Con Sasha abbiamo registrato un pezzo insieme che si chiama All’asta e lavorato a quattro mani ad alcuni quadri. Lui fa pop art, nel senso stretto del termine, campiture piatte, soggetti di un certo tipo… molto personale e con un bellissimo stile. Ho lavorati con altri artisti come Elisa Minari, la cantautrice Mimosa Campironi e altre serate… Da ogni collaborazione c’è sempre da imparare e oltre la gratificazione personale è anche una bella scuola.

Come giudici il panorama musicale moderno? È difficile essere un musicista oggi?

Fare il musicista è dura, se lo vuoi fare come mestiere, per diversi fattori che poi sono sempre gli stessi, non credo ci sia bisogno di rielencarli… Il panorama musicale moderno lo trovo interessante e no, ma queste cose sono sempre molto soggettive. Un periodo storico come un periodo musicale può piacere a me e fare schifo a te. Le cose sono forse più futili o semplici, ma in mezzo a questo ci sono artisti validissimi che vale la pena sentire, sia artisti come Brunori o lo Stato Sociale, e questo anche tra gli artisti non emergenti, o più di nicchia, ce ne sono davvero di validi.

Quando hai capito che dovevi diventare un musicista?

Probabilmente da quando ho messo seriamente in piedi questo mio progetto One Man Pier. Diventando una cosa mia ho capito in maniera definitiva che voglio fare il musicista. Adesso sto facendo solo questo, sto tentando di renderlo il mio mestiere, prima ho sempre lavorato in fabbrica, nei campi, però se anche in quei contesti continui a pensare a cosa scrivere e alla musica forse lo vuoi fare davvero.

Sei una persona diversa rispetto a quando hai iniziato questo percorso?

Come persona probabilmente sì, ma non credo che sia un fattore legato al nesso artistico, perché tutto ciò che ti succede ti cambia. Sicuramente posso essere cambiato in maniera migliore, per alcuni versi, peggiore per altri. Di certo sono cambiato come una persona che decide di fare il calciatore o l’operaio… la strada che scegli, volontariamente o involontariamente, ti plasma.

Quanto è importante sperimentare e come è possibile conciliare il bisogno di sperimentare ed evolversi con il non tradire il pubblico che ti conosce?

È una cosa che mi piace molto. Ritiro fuori gli Skiantos. Credo che loro pur di restare coerenti abbiano forse lasciato scappare alcune opportunità, nel senso… penso ad un personaggio come Freak Antoni che poteva diventare, ancora di più, un personaggio di massa. Ma in questo c’è un’enorme coerenza. Una volta, in un’intervista insieme che abbiamo fatto ad una radio di Padova, lui disse che lui aveva la possibilità di sopravvivere con la musica. Io credo che quando tu puoi sopravvivere con qualcosa che ti piace, senza strafare, senza dover a tutti i costi diventare ricco, essendo sempre sicuro di quello che fai e rimanendo coerente, è sicuramente una cosa importante. Io cerco di rimanere coerente almeno con me stesso. Sono ancora troppo piccolo per avere un pubblico di riferimento e sapere cosa vuole, non so nemmeno quale sia il mio pubblico. Cerco di essere però coerente con me e credo che chi mi segue volentieri sia contento anche di questo.

Cosa ti succede quando entri in quel piccolo quadrato che è il palcoscenico e cosa succede quando ne esci fuori?

Credo dipenda anche qui da dove vai. Ti ripeto, sono un artista piccolo e quindi palchi giganti non li faccio, ma un club di un certo tipo può metterti in soggezione, mentre in un altro ti puoi sentire più a tuo agio. In qualsiasi caso, sia che ci sia un clima intimo che uno più ampio, cerchi sempre di dare il meglio di te per colpire anche chi quella sera non è venuto per sentire te.

Cosa non deve fare un artista per smettere di essere sincero?

Smettere di essere coerente con sé stesso.

Il silenzio del cantautore cerca di scovare l’essenza di un artista spogliandolo di ogni mezzo che possa amplificare la sua voce. Secondo te quale è l’essenza di un artista e, soprattutto, quale è l’essenza di One Man Pier?

L’essenza di un artista è provare a buttare fuori cosa si ha dentro. Un altro personaggio che mi ha colpito, a livello storico, è Gabriele D'Annunzio, e c’è un bellissimo documentario che ho rivisto mille volte su di lui che termina dicendo che con la morte di Gabriele D’Annunzio se ne va un uomo che è stato capace di imporre i propri sogni agli altri uomini. È una frase bellissima. Unica parola che stona è imporre, perché è una parola più negativa che positiva per un artista. In questo caso la voglio interpretare come una parola positiva limandone il significato ed intendendola come far conoscere i propri sogni, farli condividere. La mia essenza… non so. Credo di averla già esaurita in queste risposte.

A cosa brindiamo?

A questa serata e che le cose di cui abbiamo parlato possano realizzarsi stasera.

Essenza d'artista - OneManPier

Essenza d'artista, foto di Giacomo Marighelli

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