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ZERO.40 | intervista a DANDY BESTIA

Zero.40 è la nuova rubrica del Il silenzio del cantautore.

I conversatori si siedono in un angolo, all’interno del Korova milk bar, il tempo di bere una birra media: 0.40 cl.

Un piccolo viaggio fatto di parole per conoscere meglio gli artisti che hanno partecipato a questa rassegna.

Rubrica a cura di Carlo Casaburi.

Fabio Testoni è dandy bestia, storico chitarrista e fondatore, insieme a Roberto freak Antoni, degli Skiantos, e non ha bisogno di molte presentazioni, soprattutto nel territorio emiliano. Abbiamo parlato di musica, vecchia e nuova, dei Beatles che lo hanno portato a prendere in mano una chitarra rubando gli accordi delle canzoni agli amici e, ovviamente, di freak Antoni, perché era inevitabile, perché era giusto così.

Abbiamo bevuto insieme un po’, lui un bicchiere di vino e io la mia birra media. Abbiamo chiacchierato e mi ha presentato Marcello Darbo, scrittore di canzoni, «un grande» per citare le parole di Fabio. Faranno un EP insieme, mi dicono, a breve, e il brindisi finale sarà dedicato proprio a questo. Sono seduti accanto ad un tavolino nel cortile interno del Korova. È lì che mi siedo anche io e comincio l’intervista.

È vero che a tredici anni sei scappato di casa per sentire il concerto dei Beatles?

A Milano, il 24 giugno del ‘65… sì.

Era una passione molto forte?

Mi ha completamente aperto il cervello. Io andavo al mare ancora con i miei, a San Giuliano a mare, non a Rimini… avevo dodici anni, e nel jukebox qualcuno, non so chi, ad un certo punto mette su she loves you dei Beatles. E io ho detto “che cazzo succede qua?”. Io ero abituato ad ascoltare cose tipo Celentano, Mina… viaggiava questo in Italia, e sento she loves you e penso che sia una roba eccezionale. Il basso e la batteria potenti, le chitarre violentissime. Sono andato fuori di testa. Durante quell’estate, anno del ‘64, ho continuato ad ascoltarla, mettendo cento lire alla volta. Alla fine il proprietario dell’albergo ha tirato fuori il disco e me lo ha regalato dicendo: “Tieni. Non lo voglio sentire più”. Vedi, è andata avanti così per venti giorni, l’ho imparata a memoria anche se ancora non sapevo l’inglese. Credevo dicesse cose importanti, e alla fine ho scoperto che era così.

 

Parlami del tuo primo approccio alla musica, soprattutto riguardo l’aspetto emotivo.

 

Fu allora. E quando hai dodici, tredici, anni il tuo approccio emotivo è immenso. Hai una voglia di esplodere ed esplorare tutto, e quando senti una cosa che ti piace è favoloso. Fu così con she loves you. Mi piaceva anche Celentano, Mina… ma i Beatles fu una cosa troppo dirompente.

Quando hai preso in mano la tua prima chitarra?

Nel ’65. Non sapevo ancora suonare. Rubavo gli accordi ai miei amici che sapevano già farlo, mi facevo insegnare delle cose… poi una volta capiti i meccanismi sono andato avanti da solo. Io sono un totale autodidatta. Sì, ho studiato dopo anche qualcosa, ma ho cominciato così. Mi tiravo giù i pezzi dai dischi e quindi, a volte, con degli errori enormi. Anche se poi ho imparato, e ora riesco a sentirli, che anche i Beatles e anche i Rolling Stones, per loro ammissione, lasciavano gli errori nei loro dischi. Perché allora non c'erano sovraincisioni, dovevi cantare e suonare dal vivo. All’inizio, fino al ‘66, al ‘67, dovevano suonare e cantare insieme. E se uno ci pensa dici “come cazzo facevano a suonare e cantare insieme?”. Mi riferisco a roba come Day Tripper. Non è una delle loro migliori, ma il punto è il riff della chitarra… prova te a suonarlo e cantarci sopra, è durissima! E invece loro lo facevano.

Cosa significa essere un musicista?

Mi verrebbe voglia di darti una risposta pesantissima e dirti: “è meglio cambiar mestiere”. Nel senso che… gli Skiantos hanno avuto una loro fortuna anche discografica, perché in qualche modo l’hanno avuta, ma l’hanno avuta con dei pezzi che sceglievano i discografici. “Mi piaccion le sbarbine” era un nostro scarto. Anche il titolo, la scelta del titolo, non è una vaccata d’accordo… ma è un pezzo banale rispetto ad altri.

Dal punto di vista emotivo il bello è la passione. Ti trovi con della gente che produce dei suoni e ti rendi conto che questi vanno d’accordo con quello che tu fai. Ci vuole anche del culo, ovvio, non è che incontri tutti i giorni freak Antoni… ho avuto la fortuna di incontrare Roberto, eravamo all’università insieme al Dams, lui faceva spettacolo e io facevo musica. Sapeva scrivere delle robe allucinanti. Mi viene in mente “Permanent Flebo”, e certo non puoi sperare di andare in Rai con un pezzo così… era un pezzo pesantissimo. Ma noi facevamo quella roba lì.

Quando hai capito che nella vita saresti diventato un musicista e quando hai capito di esserlo diventato?

Torniamo sempre al 24 giugno del ’65. Lì ho capito e ho deciso che volevo fare quello.

Mi sono svegliato molte volte dicendo “sono diventato un musicista”, ma ho fatto anche dei dischi dove ci sono degli errori clamorosi, di cui adesso mi vergogno. È stata una continua evoluzione, non c’è stato un giorno dove finalmente ho detto “cazzo, ce l’ho fatta!”. No, assolutamente no.

Forse quando abbiamo pubblicato il 45 giri “Karabigniere Blues”, e l’ho trovato nel jukebox, lì sono rimasto colpito. Mi sono detto “allora è successo.”

Cosa significa essere cofondatore degli Skiantos, che cosa ha lasciato questo nel tuo cuore e nella tua esperienza, e come è nata l’idea di fondarli?

L’idea è di Roberto Antoni, sia il nome, sia il fatto di fare un gruppo rock che cantasse in italiano e non in inglese e che parlasse delle cose che succedevano senza muri, o lo stare attenti a dire o non dire questo o quello, andando a ruota libera. Questa è stata la sfortuna o la fortuna degli Skiantos. Non abbiamo mai mediato. Abbiamo mediato una volta sola con “Ti spalmo la crema”, che fa cagare. Un disco di cover… a noi? Non poteva funzionare.

Abbiamo fatto dei bei dischi, anche tra le litigate…

È sempre stato bellissimo, perché quando fai delle cose che ti piacciono, e hai un frontaman, un animale da palco, come Roberto Antoni, ti cambia la vita. Uno al livello di Iannacci, Gaber e Celentano. Il livello è quello. Uno showman pazzesco, capace di inchiodare cinque, seimila persone, per venti minuti anche senza cantare una nota e prendendoli per il culo. Un animale da palcoscenico. E lì i discografici: “Ma troviamo un sostituto, la cosa ha un senso, dobbiamo continuare…”. “Ma tu sei matto”, ho risposto. “Piuttosto canto io. Che si presenti qualcuno in grado di sostituire una figura così”.

Tutti erano intimoriti a parlare con Freak, era un provocatore nato. Avevano paura delle sue risposte. L’unico forse che non aveva paura era Lucio Dalla… e infatti gli piaceva. Un grande.

Come è nato il nome dandy bestia?

Mentre ero al Dams, nel 76, 77, e ci siamo incontrati, io ero innamorato del dandismo inglese: John Keats, Oscar Wilde… E così quando mi hanno chiesto di trovare un nomignolo negli Skiantos ho scelto dandy. Non bastava, abbiamo aggiunto Bestia.

C’è una tua canzone, o anche di altri se preferisci, che senti ti descriva alla perfezione?

Dovrei pensarci delle settimane. Per ora non credo ci sia una canzone che mi descriva completamente, e mi vergognerei se fosse così.

Puoi parlarci un po’ del movimento del 77?

Qui ci metteremmo una vita…

Io sono figlio di un partigiano, mio padre, e di una comunista, mia madre. Quando ho aderito al movimento del ‘77, come freak, a Bologna, mio padre era preoccupato. Da una parte era orgoglioso, pensava “beh, mio figlio non è un fascista”, ma era preoccupato perché avevo preso una strada che poteva portare a dei problemi, come poi è successo. Però io sono nato così, nel senso che i miei mi hanno trasmesso una cultura e un modo di vivere comunista. Non mi hanno mai sfiorato nemmeno con un dito, anche perché picchiare i figli è una stronzata.

Roberto freak Antoni, quale è la cosa più preziosa che ti ha lasciato?

Non mi ha lasciato un’eredità. Mi ha lasciato ciò che abbiamo fatto insieme. Io scrivevo la musica e lui le parole. E ora mi faccio scrivere i pezzi da altri perché io non sono stato mai capace di farlo. A volte mandavo delle mie cose a lui, che avevo scritto, con enormi cappelle di roba… e lui le leggeva e tirava fuori due frasi “queste sono belle, quindi sai scrivere. E che scrivi anche un sacco di roba che non c’entra un cazzo”. Quando lavori con una persona per 40 anni non solo nasce dell’affetto, quella persona la ami. È anche vero che io e freak abbiamo spesso litigato a livelli cosmici. I ragazzi del gruppo avevano paura sciogliessimo gli Skiantos per questo, erano litigate dure. Ma lo amavo.

Il tuo primo lavoro solista è stato “Giano”, 2016, parlaci di questo lavoro.

Che è stato distribuito alla cazzo di cane.

Ho fatto un disco… ma non ha avuto una grande distribuzione. E quindi è come se non fosse stato fatto.

Cosa pensi del panorama musicale odierno?

 

È un po’ desolante, secondo me, ma magari mi sbaglio. Oh, io sono un passatista, sono legato alle cose vecchie. Ma è il modo di approcciarsi alla musica che è cambiato: si cerca un consenso.

Non è che Domenico Modugno non cercasse il consenso, ma lo faceva con cose sue che non facevano tutti gli altri. Oggi non va così. E ci sono band che sembrano fatte con lo stampino perché è così che si cerca il consenso. Poi… questa è la mia visione ovviamente. Credo ci sia una massificazione del mondo musicale. Bisognerebbe essere più curiosi.

Tornando indietro nel tuo percorso cambieresti qualcosa?

Quasi tutto. Ho fatto talmente tante stronzate che se mi trovassi nella situazione agirei diversamente. Ma è una domanda del cazzo perché non si può.

Perché, se lo è, è importante saper essere ironici?

È importante essere ironici perché ti salva la vita. Vedere la faccia comica di una tragedia è un modo per assorbirla meglio. Se la tratti da tragedia rivive ancora. Se la ridicolizzi è più facile non pensarci. I comportamenti umani sono spesso ridicolizzabili, la maggior parte di questi. E quindi l’ironia ti permette di venirne fuori, di condividere la tragedia, ma in modo ridicolo, con gli altri.

Oggi suoni a Il silenzio del cantautore, è una rassegna di musica totalmente in acustico, senza alcuna amplificazione, al naturale per ricondurre il cantautore alla sua origine ed autenticità. Una ricerca dell’essenza, sia per chi suona che per chi ascolta. Questa è una domanda un po’ bizzarra forse, rispondi come puoi: Secondo te in cosa consiste questa essenza, se è importante perché lo è, e soprattutto qual è” l’essenza” di Fabio Testoni, meglio conosciuto come Dandy Bestia?

È la prima volta che faccio una cosa così, senza amplificazione, suonerò i pezzi come sono nati, chitarra e voce.

L’essenza del cantautore…

Vedi, qui con noi c’è Marcello Darbo. Lui fa le cose che io e freak facevamo in due. Io non sono capace di scrivere parole. Quando lo facevo venivo massacrato anche da Freak. A me piace suonare, fare canzoni. Poi vado da chi sa scrivere. Il mio strumento sono le canzoni, e forse sono abbastanza bravo a farle. Faccio quello.

A cosa brindiamo?

A Marcello Darbo e al singolo che faremo entro breve tempo.

essenza d'artista - stephen lawrie the telescopes

Essenza d'artista, foto di Giacomo Marighelli

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